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Assoluzione per il medico nel caso di Cinzia Pennino

La recente pronuncia giudiziaria ha assolto il medico V. F., coinvolto nella somministrazione del vaccino Astrazeneca all’insegnante Cinzia Pennino, deceduta poco dopo. La sentenza, frutto di una accurata analisi legale, ha chiarito che il reato di omicidio colposo non sussiste. Questa vicenda solleva importanti interrogativi riguardo alla gestione delle campagne vaccinali in un momento storico delicato.

Il caso di Cinzia Pennino

Cinzia Pennino, insegnante dedita e professionale presso il Don Bosco, si sottopose per la prima volta alla vaccinazione contro il Covid-19 il 7 marzo 2021. Tuttavia, la somministrazione non avvenne a causa delle indicazioni del personale sanitario, che indicava una presunta obesità. Il successivo tentativo l’11 marzo presso l’hub della Fiera, curato da V. F., vide la somministrazione del vaccino Astrazeneca senza problemi apparenti, nonostante l’insistenza della famiglia sul buono stato di salute della donna.

A seguito della vaccinazione, Cinzia non mostrò sintomi preoccupanti, se non una leggera febbre facilmente gestita con la Tachipirina. Tuttavia, il 21 marzo, il suo quadro clinico peggiorò drammaticamente con la comparsa di forti dolori addominali e vomito, sintomi non immediatamente associati alla vaccinazione. Fu solo in ospedale che una TAC rivelò una trombosi addominale, che portò al suo trasferimento e all’inevitabile decesso.

Accuse e svolgimento del processo

La Procura, interpretando le azioni del medico come negligenti, lo accusò di aver ignorato le linee guida della campagna vaccinale e di non aver optato per un vaccino mRna come Pfizer o Moderna, vista la presunta vulnerabilità della paziente. Tuttavia, due consulenze tecniche respinsero tali tesi, non trovando alcun nesso causale tra il vaccino e la morte della donna.

I periti del giudice ribadirono che, al momento della vaccinazione, non esistevano protocolli vincolanti per la somministrazione dei vaccini. Le uniche direttive disponibili erano delle semplici raccomandazioni, mentre il rischio di trombosi risultava elevato nei pazienti obesi a prescindere dal tipo di vaccino.

La difesa del medico

L’avvocato difensore Dario Gallo sottolineò l’elevata mole di lavoro gestita da V. F., che vaccinava quotidianamente circa 80 persone. Questa mole rendeva impossibile ricordare ciascun paziente in dettaglio, soprattutto in periodi di emergenza sanitaria. Inoltre, la documentazione della signora Pennino non evidenziava patologie rilevanti al momento della vaccinazione.

La mancanza di prove concrete e di protocolli chiari indusse il giudice a scagionare il medico da ogni accusa, evidenziando la necessità di linee guida precise in situazioni pandemiche così critiche. Questo caso sottolinea l’importanza della comunicazione chiara e dell’implementazione di protocolli dettagliati nella gestione della salute pubblica.

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